venerdì 30 agosto 2019

Archeotrekking 2019

4° Archeotrekking al Tramonto
29 Agosto 2019


L’archeotrekking, giunto a Ceglie alla quarta edizione, è una proposta di turismo lento consistente in percorsi a piedi che toccano i  luoghi di interesse e le bellezze naturalistiche del territorio.
Attraverso una sana passeggiata si ha la possibilità di vivere un  momento di crescita sia culturale che esperienziale.
 Un appuntamento imperdibile per tonificare  il fisico e la mente vivendo un esperienza unica immersi tra natura e storia.



Passeggiata tra storia,natura ed arte.

Dal MAAC (museo archeologico e di arte contemporanea) in via E. De Nicola è stata data la partenza per il trekking che ha toccato prima il caratteristico rione ottocentesco della Mammacara, con una visita alla chiesa di Sant’Anna, e successivamente la chiesa di San Rocco e il Teatro Comunale. Lasciata la città si è giunti in località Montevicoli dove è stato possibile visitare le suggestive grotte. Dopo una breve attività di stretching, a cura del Team Leo e della Palestra Infinity, ci si è diretti in contrada Monteveccchio per poi ritornare verso Ceglie passando attraverso la “via della Vasca”. Giunti nuovamente in città è stato fatto ammirare uno dei tratti conservati del paretone messapico prima di fare rientro verso il centro storico passando dalla chiesa di San Gioacchino e da Piazza Plebiscito. Raggiunto, infine, l’atrio del Castello Ducale è stato allestito un piccolo rinfresco.
















sabato 15 giugno 2019

Prima mostre di stampe antiche su Sant'Antonio di Padova: il culto del "Santo" a Ceglie Messapica

Prima mostre di stampe antiche su Sant'Antonio di Padova "Sand'Andoniu mije"

Il culto di Sant'Antonio di Padova a Ceglie:
storia ed elementi iconografici

In occasione della festa patronale di Sant'Antonio di Padova, l'Archeoclub di Ceglie Messapica in collaborazione con la Parrocchia Maria Santissima Assunta e per volontà di Don Domenico Carenza organizza una mostra di quadri e stampe raffiguranti il celeste patrono della città. La mostra che non vuole essere sicuramente esaustiva sull'argomento, intende presentare al visitatore una raccolta di immagini raffiguranti il “Santo” conservate nelle abitazioni di Ceglie. Un complemento, quindi, rispetto ai tradizionali momenti religiosi della tredicina dedicata al patrono e alla festa in suo onore, che possa far riflettere il visitatore sulla storia del Santo e sulle varietà di raffigurazioni, a testimonianza del culto plurisecolare di Ceglie nei confronti di Sant'Antonio.

Sant'Antonio di Padova, Dottore della
Chiesa: brevi cenni biografici

Sant'Antonio è uno dei santi più amati e venerati nel mondo. La sua vasta dottrina, condensata nei Sermoni, che fa di lui uno dei maestri del suo tempo, e la sua arte predicatoria rivolta tra l’altro agli eretici del suo tempo gli sono valse, nel 1946, l’ottenimento del titolo di Dottore della Chiesa universale per volere di Pio XII. La profonda conoscenza dei testi e le sue capacità di mediazione non sono sicuramente l’unico elemento caratteristico. Antonio, infatti, noto per le sue doti taumaturgiche, viene ricordato anche come il “Santo dei miracoli". Per i fedeli tutti è semplicemente il “Santo”. Le sue spoglie mortali sono conservate a Padova dove, a pochi anni dalla sua morte, fu eretta una stupenda basilica definita da Paolo VI "clinica spirituale", per i prodigi interiori che di continuo lì si compiono e dichiarata da Giovanni Paolo II, nel giugno del 1997, "santuario internazionale". 
Antonio ha origini portoghesi: nato a Lisbona intorno al 1195 da Martino della famiglia nobile dei Bulhoes y Taveira de Azevedo, visse in Italia da frate francescano solo alcuni anni della sua vita conclusasi a Padova il 13 giugno 1231. 
Quindicenne, Fernando (con tale nome era stato battezzato) entrò fra i canonici regolari di Sant'Agostino, prima a Lisbona e poi a Coimbra. Nei primi anni in convento si formò in campo teologico, scientifico e soprattutto biblico, tanto da meritarsi in seguito il titolo di "Arca del testamento". Gli studi non appagarono le aspirazioni del suo animo. Decise, infatti, in occasione di una missione di cinque predicatori francescani in Africa, di passaggio per il Portogallo, di avvicinarsi all'ordine del serafino di Assisi. Il “Santo” fu segnato dalla fine di questi predicatori le cui salme furono riportate proprio a Lisbona dopo il loro martirio avvenuto in Marocco. Decise, allora, di seguirne le orme entrando tra i francescani con il nome di frate Antonio, in omaggio a Sant'Antonio Abate, eremita. Imitando i frati anch’egli tentò una prima missione in Africa, interrotta per motivi di salute, per poi arrivare rocambolescamente in Italia, naufragato in Sicilia durante il viaggio che lo doveva portare in Spagna, e fu ad Assisi proprio durante il Capitolo Generale dell’ordine francescano  del 1221 , e qui, forse, poté conoscere de visu San Francesco.
Dopo il Capitolo il portoghese venne destinato al romitorio di Montepaolo, vicino a Forlì, dove rimase per qualche tempo alternando preghiere, lavoro e studio. Una predica improvvisata, in occasione di un'ordinazione sacerdotale, impose all'attenzione di tutti la profonda cultura, la capacità oratoria, e la ricchezza interiore di frate Antonio. All'indomani, lasciato l'eremo di Montepaolo, il frate iniziò quindi la sua opera missionaria di predicazione che lo portò sulle strade dell'Italia settentrionale e della Francia, ad annunciare il messaggio evangelico e francescano, contro le labili costruzioni degli eretici che avevano imperversato in quelle regioni. Ciò gli valse il famoso appellativo di "martello degli eretici (malleus haereticorum)".
Tornato in Italia, e nominato ministro provinciale dell’Italia settentrionale si stabilì a Padova, dove proseguì la sua attività di predicatore. Negli ultimi tempi, spossato dalla fatica e dalla malattia accettò l'invito di un amico, il conte Tiso di Camposampiero, a recarsi nel convento di quella cittadina, immerso nella quiete della campagna, per riposarsi. A Camposampiero, Antonio si era fatto costruire dall'amico conte tra i rami fronzuti di un noce una piccola cella, dove si ritirava a pregare. Ma quella solitudine fu infranta dagli ammiratori che, scoperto il nascondiglio segreto, si recavano in massa a chiedergli il conforto della parola.
Nella tarda primavera del 1231, Antonio fu colto da malore. Deposto su un carro trainato da buoi, venne trasportato a Padova, dove aveva chiesto di poter morire. Giunto però all'Arcella, un borgo della periferia della città, la morte lo colse. Spirò mormorando: "Vedo il mio Signore". Era il 13 giugno. Aveva 36 anni. Fu proclamato santo già un anno dopo la sua morte, in modo abbastanza inusuale, da Papa Gregorio IX per la fama di santità in vita e per i tanti prodigi.

Iconografia di Sant'Antonio: temi significativi

Le prime raffigurazioni di Sant'Antonio risalgono alla seconda metà del XIII secolo. Antonio è generalmente rappresentato in età giovanile senza barba, contrariamente a San Francesco, ma lo si trova, sebbene raramente, con la barba come nel quadro: “Maestro di S. Francesco” (sec. XIII, Galleria Nazionale di Perugia). Unico elemento costante delle figurazioni di Sant'Antonio è la presenza del saio da frate minore francescano di colore bruno o nero.
All'iconografia basilare di Sant'Antonio si aggiungono vari elementi, alcuni rappresentati abbastanza
frequentemente, che nel sentire comune portano a pensare all'immagine del frate giovane che tiene in braccio Gesù Bambino e, con l’altra mano, un giglio. A questi ultimi elementi si aggiungono poi altri simboli che lo accompagnano in altre raffigurazioni, come il pane, simbolo della carità antoniana o il libro, a sottolinearne la notevole dottrina.
Nel poster successivo presenteremo brevemente i simboli dell’iconografia antoniana e ci soffermeremo su alcuni dei miracoli che in alcuni casi vengono inseriti a ‘corolla’ nelle rappresentazioni artistiche con l’effigie del Santo.
I Simboli
Il Giglio: simbolo della sua purezza e della lotta contro il male.
Gesù Bambino: ricorda la visione che Antonio ebbe a Camposampiero. Esprime, inoltre, il suo attaccamento all'umanità del Cristo e la sua intimità con Dio.
La giovinezza: simbolo di personaggio ideale, puro, buono, che accoglie tutti.
Il libro: presente fin dalle prime rappresentazioni è simbolo della sua scienza, della sua dottrina, della sua predicazione e del suo insegnamento sempre ispirato dalla Bibbia.
Il pane: simbolo della carità del santo verso i poveri.
La fiamma: l’elemento meno comune nell'iconografia di Sant'Antonio, è del suo amore per Dio e per il prossimo.
Il santo dei Miracoli
La Mula: durante un dibattito fra Antonio e un eretico circa la presenza di Gesù nell'Eucaristia, l’eretico sfida il Santo a dimostrare con un miracolo la vera presenza di Cristo nell'ostia consacrata, promettendo che se ci fosse riuscito si sarebbe convertito alla retta dottrina; perciò se l’animale affamato si fosse inginocchiato davanti alla particola, ignorando il cibo, egli si sarebbe convertito e così avvenne.
La predica ai pesci: a Rimini, che rifiutava di ascoltare la Parola di Dio, egli predicò ai pesci che miracolosamente lo accolsero sulla riva. Monito accolto dal suo uditorio.
Il pane dei poveri: una donna disperata invoca l’aiuto del Santo, e nella sua preghiera fa un voto: se otterrà la grazia donerà ai poveri tanto pane quanto è il peso del bambino. Il figlio torna miracolosamente in vita e nasce così la tradizione del «pondus pueri» una preghiera con la quale i genitori in cambio di protezione per i propri figli promettevano a sant'Antonio tanto pane quanto fosse il loro peso.
La visione del Bambino: nell'ultimo periodo della sua vita, rifugiatosi presso l’amico conte Tiso, in una celletta costruita presso un noce, Antonio, avvolto in forte bagliore viene visto stringere fra le braccia Gesù Bambino.Visione che per secoli commuove molti.

Il culto di Sant'Antonio a Ceglie: cenni

Il culto per Sant'Antonio a Ceglie ha radici plurisecolari e profonde come testimoniato non solo dai momenti religiosi e civili della festa che ogni anno la città organizza in suo onore, ma anche dalla presenza, la più numerosa, in quasi tutte le abitazioni, di statue o oggetti votivi raffiguranti il Santo. Altro segno è la presenza di numerosi affreschi o dipinti raffiguranti Sant'Antonio nelle edicole votive dell’abitato o nelle cappelle rurali.
Il primo altare dedicato a Sant'Antonio fu eretto molto probabilmente tra il 1630 e il 1640 all'interno della Collegiata.
Di questo altare abbiamo anche una la descrizione contenuta nella relazione alla visita pastorale, datata 1747 dell’Arciprete D. M. Lombardi, dove si legge: “Cappella di Sant'Antonio da Padova a volta, coll'immagine di detto Santo a pittura, guarnita di colonne di pietra scorniciate poste in oro ed è de Jure Patronatus dell’Ill.mo Sig. Duca di questa Terra, al quale le spetta di provederla di tutto il necessario.” [Mons. Gianfranco Gallone, Uno sguardo su Ceglie nella prima del ‘700, pagg. 84, 93].
Nel 1654 è attestata la celebrazione della festività religiosa di Sant'Antonio, nel Liber Baptizzati
et Confirmati si legge: “in questa solennità è predisposto l’Ufficio della Messa solenne e l’Ottava in onore del Taumaturgo S. Antonio, Celeste Patrono Principale di Ceglie del Galdo” mentre la sua elezione a Patrono di Ceglie è da collocarsi tra il 1694 e i primi anni del 1700. [Michele Ciracì, Cultoe iconografia di S.Antonio di Padova in Ceglie Messapica]
Le principali rappresentazioni del Santo conservate a Ceglie sono la statua lignea e la tela esposta sull'altare a lui dedicato nella, Chiesa Matrice, attribuito a Pacecco De Rosa (1607-1656) [Michele Ciracì, Culto e iconografia di S.Antonio di Padova in Ceglie Messapica pag. 9]. La statua è databile agli ‘70 del XVIII secolo [Gianfranco Gallone, Uno sguardo su Ceglie nella prima del ‘700, pag. 93], raffigurante un giovane francescano con saio nero con in braccio Gesù Bambino posto su di un libro socchiuso, è tradizionalmente portata in processione il 13 giugno ed esposta durante la tredicina in un tosello artistico. La statua in occasione della processione era ricoperta di ex voto e donativi (in passato vista la grande
quantità di ori e argenti donati al santo si aggiungeva anche un palio su cui esporli), tale cosa è riavvenuta anche nel 2018. Nel corso della processione, nella sosta in piazza Plebiscito il primo cittadino consegna le chiavi della città nelle mani del santo (tradizione risalente al ‘700 poi cessata e ripresa da circa un ventennio).
I momenti tradizionali delle festività per il Celeste Patrono a Ceglie iniziano dal 1 giugno con l’inizio della tredicina, che man mano vede accrescere la partecipazione dei fedeli. I giorni del 12 e 13 giugno sono i giorni della solenne Festa Patronale; in Piazza Plebiscito viene eretta la Cassa Armonica dove si esibiranno importanti concerti bandistici, e le vie principali della città sono abbellite con le luminarie artistiche. In chiesa il 13 giugno durante la messa mattutina c’è la tradizionale benedizione dei pani che verranno distribuiti ai numerosi fedeli, mentre alle 11 si celebra la messa solenne con il Vescovo di Oria e il clero cittadino. La sera vede sfilare per le vie cittadine la processione e, come detto, in Piazza avviene il rito della consegna delle chiavi da parte del sindaco. La festa si conclude con il tradizionale spettacolo pirotecnico in tarda serata.







lunedì 22 aprile 2019

Mostra riti della Settimana Santa 2019, Cristo salva la madonna sugella. La processione dei Misteri a Ceglie

Cristo salva, la Madonna suggella:
 le statue dei Misteri nel Venerdì Santo
a Ceglie Messapica
di Francesco Moro, Oronzo Suma e Giuseppe Lodedo

La processione del Venerdì Santo:
contesto ed informazioni storico-culturali

Il volto di Cristo sotto la croce
Le processioni del Venerdì Santo, giorno aliturgico per eccellenza, sono manifestazioni paraliturgiche di retaggio medievale, affermatesi dopo il Concilio di Trento (1563). I pellegrini che nel Medioevo viaggiavano in Terra Santa portarono in Europa, e soprattutto in Italia e Spagna, il ricordo dei simboli e dei luoghi della Passione di Gesù Cristo; essi decisero di riproporre quelle suggestioni dolorose captate in Terra Santa, anche nelle loro terre, con manifestazioni teatrali che si svolgevano il più delle volte sul sagrato delle chiese, e che ricordavano, appunto, la Passione di Gesù Cristo.
Mentre l'ordine dei francescani, a sua volta, diffuse in Europa a ricordo dei pellegrinaggi compiuti nei luoghi cristiani di Terra Santa, forse a memoria del pellegrinaggio compiuto dalla Vergine nei luoghi della Passione di Cristo, la tradizione di celebrare il Venerdì Santo la Via Crucis attraverso 14 stazioni. Le processioni del Venerdì Santo, come detto, trovarono slancio dopo il Concilio tridentino, dalla esigenza di far rivivere e comprendere ai fedeli il mistero salvifico, della morte e Passione di Cristo attraverso rappresentazioni (le processioni) paraliturgiche a integrazione della liturgia. Esse si strutturano su una doppia veste, quella dell’annuncio cristiano e della conversione. Proprio in queste caratteristiche trovano fondamento le differenze insite nella processione del Venerdì Santo; questi due aspetti, infatti, nel corso dei secoli hanno portato ad una variazione delle ritualità in base del contesto socio-culturale.

Processione dei Misteri 2012
Distinguiamo 4 tipi di processioni del Venerdì Santo; devozionali, penitenziali, drammatiche ed associative; molto spesso si ritrovano però processioni miste [La Drammaturgia della Settimana Santa in Italia, C. Bernardi].
La processione cegliese, ad esempio, può essere considerata una processione drammatica, dove sfilano le statue dei Misteri e per ogni statua si rappresenta, appunto, un mistero salvifico nella sua tragicità.
La processione delle statue dei Misteri, così come le altre processioni religiose è voluta per far “parlare” le statue e tramite esse instillare un messaggio, emanato da ogni “quadro” esposto lungo il cammino devozionale. Non ci pare una “sfilata”, nel senso che non c'è soltanto un avvenimento che di svolge sotto i nostri occhi e basta; difatti, vi possiamo partecipare entrando nella scena, “sfilando”; non è nemmeno una “rievocazione” nè una pura “messinscena” teatrale (rappresentazioni meritorie comunque se fatte bene e con sentimento), dove la componente umana interpretativa predomina e di essa ci si fida: della scena, degli attori, del regista. Il messaggio che si vuol dare è sempre filtrato da qualche punto di vista particolare e non può esser altrimenti. Più somiglianza si può riscontrare con una “parata”, dove ciò che si mostra non sono solo le statue e le coreografie associate o il corredo di musiche, ma anche un “mostrarsi”, partecipativo di chi organizza lo “spettacolo”, siano essi i sacerdoti, le confraternite, i portatori, ma è chiamato alla partecipazione attiva anche chi vi assiste o si associa muovendosi col corteo, ponendosi corporalmente nella teoria processionale. Dunque, non si presta niente a nessun personaggio: si è personaggio e si agisce non nella finzione, ma nella realtà.

Le Statue dei Misteri
"reliquie viventi del dramma sacro"
Processione dei Misteri 2018.
Uscita dalla Chiesa di San Demetrio
Le statue dei Misteri si potrebbero chiamare statue “titolari” o “narrative” in quanto danno corpo artistico, ad un singolo episodio della vita di Gesù e, non sono un riassunto biografico come per le statue dei santi. In quest'ordine di considerazioni, perciò i Misteri assomigliano molto alle statue “titolari” della Madonna (Immacolata, Annunziata, ecc.) con una differenza che s'impone subito: che solo alcuni simulacri dei Misteri hanno un culto liturgico proprio, essenzialmente il Crocifisso. Questo significherà, forse, che esso è il momento clou, il punto massimo della narrazione, nel pathos, nel concetto (non il Cristo Morto, ci pare), che si mette in scena tra le vie, a cui si affiancherà poi anche l'Addolorata. Tale simulacro della Madonna, che chiude i cortei, è l’immagine del dolore; pare proprio sufficiente una statua per richiamare un'altra prospettiva nella storia di salvezza dei Misteri: quella della Via Mariae, una parallela Via Crucis della Madre.
A questo punto l'intera storia di salvezza sembra essere vista quasi totalmente da parte della Madre, che è dire, dalla parte dell'umanità. Traccia di ciò è nell'accentuata identificazione popolare con la Madonna. Qui si opera in una fusione di orizzonti teologica tra il dolore della madre e del Figlio, e, di conseguenza si celebra l'altro mistero della partecipazione della Madre alla missione redentiva del Salvatore.
Come già accennato, il modo di presentare i Misteri del Venerdì Santo e l’organizzazione della loro processione risente del contesto socio-culturale in cui si opera; se infatti la presenza di alcune statue è
elemento imprescindibile in tutte le processioni, esse si diversificano nelle prospettive ideali da cui sono concepite. Infatti, si può avere una caratterizzazione dei Misteri, con stretta focalizzazione cristologica, cioè escludendo alcuni personaggi dalla narrazione, eccetto la Madonna, “corredentrice”; oppure si possono allineare statue dove, oltre alla presenza di Cristo, vi si osservano altri personaggi secondari della Passione.
Processione dei Misteri 2018
Il riferimento comune nella narrazione a livello di schema mentale, può essere considerata la declinazioni dei misteri dolorosi del Rosario. Una rispondenza precisa con la nostra si ritrova in Spagna, a Vallodolid, regione della Castiglia nella processione del Lunedì Santo, la Procesion de Santisima Virgen del Rosario. Essa è improntata sui 5 misteri dolorosi del Rosario con la partecipazione di ben 6 confraternite dalle dedicazioni identiche ai nostri titoli statuari. Ricordando che i 5 misteri dolorosi sono: 1° Agonia di Gesù nell’Orto del Getsemani; 2° Flagellazione di Gesù alla colonna; 3° Coronazione di spine; 4° Salita di Gesù al Calvario carico della croce e 5° Crocifissione e morte di Gesù; occorre notare lo sdoppiamento del quinto mistero nei simulacri del Crocifisso e di Cristo morto. A cui, come da prassi spagnola, va aggiunto il simulacro dell'Addolorata, Mater dolorosa a chiusura del corteo. Essa suggella idealmente il cerchio del dolore degli eventi passionisti del Figlio e, non è sbagliato, credere che il tutto sia vissuto in primo luogo dalla sua prospettiva. Nel numero conclusivo di 7 statue, minimo, fino a circa 10, è possibile far confluire le soste di Cristo nella via captivitatis (8 secondo Ubertino da Casale nel suo Arbor vitae del 1305, un “circolo ottonario”, con il Cristo “circumrotatus” come una “pila”, sballottato come palla tra i vari Anna, Caifa, Erode e Pilato due volte), e le stazioni della vera e propria Via Crucis con la croce protagonista. La “via captivitatis” nella nostra teoria ridotta ai primi tre Misteri in ordine di uscita.
Se altrove prevale la concezione di raccontare l’interezza della Passione, punto per punto, allora il numero delle statue dei Misteri può raggiungere anche cifre eccezionali, come quelli del barese, dove in molti centri le statue superano abbondantemente la decina, fino ad arrivare al caso limite, della nostra omonima, Ceglie del Campo con ben 56 statue. Della processione dell’altra Ceglie ci piace dire la particolarità della presenza del gruppo scultoreo dell’Ultima Cena, con una tavola imbandita a cui alla fine della processione si avvicinano le famiglie meno abbienti per consumare un pasto: finanzia il tutto “famiglia patronato”!
Sempre in questa ottica, per Martina Franca il simulacro di Giuda con la lanterna così come quello di Cristo vestito da pazzo di Francavilla Fontana nelle rispettive sequenze dei Misteri, li definiremmo degli “intrusi”. Da dove spuntano? Tra l'altro, sono rari dappertutto in Italia in questi ruoli. Li pensiamo, però, strutturalmente equivalenti tra loro rispetto ai nostri poiché colmano avvenimenti importanti della Passione ignorati nella nostra versione della Via Crucis. Così, rifacendosi ai Vangeli, la statua di Giuda di Martina copre il frangente tra l'orazione al Padre nel Getsemani e il tradimento di Giuda e relativo arresto di Gesù, mentre l'esemplare del Cristo vestito da pazzo, con clamide bianca e mani legate di Francavilla, illustra il momento seguente della prigionia in cui Gesù è scambiato per matto e deriso un po' da tutti. Per Giuda fanno testo le pagine dell'arresto, mentre per Cristo pazzo si possono rintracciare fonti scritturali nei Sinottici (Mc 14,65; Mt 26,67-68; Lc 22:63-65), tirate un po' per la “tunica” nell'immaginazione popolare. Entrambe illustrano appunto le sezioni dell'arresto e della prigionia di Gesù.

La processione del Venerdì Santo
a Ceglie Messapica
Immagine del centro documentazione Michele Ciracì.
La processione dei Misteri in Via Roma, visibili le statue di: Cristo all'orto, alla colonna, alla loggia e
di Cristo Morto sotto la croce. Prima delle statue la bassa banda che precedeva la processione.
Anche a Ceglie la processione dei Misteri del Venerdì Santo, come in molte località dell’Italia meridionale fonda le proprie radici su una tradizione plurisecolare. La processione dei Misteri, resta insieme al pellegrinaggio ai Sepolcri, l’unico elemento legato alla tradizione popolare della Settimana Santa cegliese. Da citare sicuramente tra le prime fonti storiche certe, la relazione dell’Arciprete Donato M. Lombardi, datata 15 gennaio 1748 ed oggetto alcuni anni fa di una pubblicazione del neo Arcivescovo Mons. Gianfranco Gallone. L’arciprete Lombardi così scriveva: “il venerdì Santo la sera la Congregazione sotto il titolo dell’Immaculata Concezione si fa la processione per tutto l’abitato con Nostro Signore Gesù Cristo Morto sopra la bara”. Il Cristo Morto a cui si fa riferimento non è però quello attualmente portato in processione ma è, bensì il corpo snodabile della statua cinquecentesca del Crocifisso della Collegiata. 
Una processione molto simile, diversa solo per l’aspetto della presenza delle confraternite, a quella odierna possiamo immaginare che avvenisse già ad inizio Ottocento e negli anni immediatamente precedenti. Anche in questo caso ci è utile citare una relazione ad una visita pastorale. Mons. Fabrizio Cimino nel 1801 cosi scriveva: “le statue di Cristo all’Orto, alla Loggia, alla Colonna, del Crocifisso, del Cristo Morto e dell’Addolorata, il Venerdì Santo vengono portate in processione a spalla, da religiosi, officiali eletti, da deputati eletti, dal governo locale e dai confratelli di tutte le confraternite”. [I Riti della Settimana Santa a Ceglie Messapica - M. Ciracì]
La processione ha cambiato con il trascorrere del tempo più volte itinerario e luogo di partenza. Fino al 1969, anno del crollo del tetto della chiesa, avvenuto nella notte tra del 24 e 25 marzo, e nuovamente a ricominciare dal 2017, ha inizio dalla Chiesa di San Demetrio. Nel periodo in cui non è stato possibile utilizzare la chiesa di San Demetrio, e fino a dopo il rientro delle statue (avvenuto nel settembre 2016 per volere di Don Lorenzo Melle), il luogo di partenza è stato per molti anni la Chiesa di San Domenico; la processione ha avuto inizio, anche, per uno/due anni dalla Chiesa dell’Annunziata. L’attuale percorso della processione vede il corteo sfilare prima nel centro storico, passando per Via Forno del Duca, Via Vitale, Via P. Chirulli e Piazza Vecchia. Usciti dal centro storico, da via Bottega di Nisco si raggiunge L. Amendola e si risale Via Roma raggiungendo il Calvario. Qui l’Addolorata si ferma e si gira verso la bara di Cristo Morto del Calvario. La Processione prosegue per via Umberto I, Votano, XX Settembre, F. Argentieri, Cristoforo Colombo, Petracca, San Rocco, Piazza Sant’Antonio, Corso Garibaldi e Piazza Plebiscito, dove si tiene una breve sermone, per poi concludersi nella chiesa da dov'era partita.
La processione si è sempre svolta, non ha mai avuto interruzioni, rare le occasioni che hanno visto sfilare i simulacri per le vie cittadine a causa del maltempo la mattina del Sabato Santo (le foto dei Misteri pubblicate nei pannelli successivi ritraggono l’uscita della processione in una di queste occasioni di inizio anni ‘90, 1992; fatto simile è avvenuto nel 2014).

Le statue cegliesi
Immagine del centro documentazione Michele Ciracì
La processione dei Misteri in Via Roma, visibili le statue del Crocifisso, di Cristo Morto e l'Addolorata
preceduta dai confratelli della Arciconfraternita dell'Immacolata

Le statue dei Misteri cegliesi, molto probabilmente databili alla secondo metà del settecento, sono statue molto semplici all'aspetto, di statura umana, con apparati scenici ridotti rispetto a quelli che si vedono in località vicine alla nostra e in provincie limitrofe. Si aggiungono al Cristo solo degli angioletti in alcune statue, la colonna nell'omonima statua e la roccia, su cui torneremo, della statua della caduta. I volti delle statue, non esasperati nella raffigurazione scenica del dolore, e molto rassomiglianti tra loro, sono sicuramente un elemento caratterizzante della teoria dei Misteri cegliese. Le statue vengono portate a spalla su fercoli, introdotti nei primi anni novanta dall'Arciprete Don Vittorio Mele. L’anno di introduzione dei fercoli è leggibile sul catafalco di Cristo Morto, ove si legge: AD MCMXCIV (1994).
I portatori sono gruppi di cittadini e membri di alcune famiglie che da anni, dopo la scomparse delle confraternite, ufficialmente estinte con decreti del Ministero degli Interni nel 2006, ma assenti anche da più anni dalla scena rituale della Settimana Santa, si incaricano di portare le statue. L’assegnazione delle statue avviene la Domenica delle Palme attraverso la presentazione di offerte.
Le statue vengono utilizzate, ad eccezione del Crocifisso (portato in processione anche il 3 maggio), durante l’anno solo in occasione della processione dei Misteri. È infatti scomparsa la tradizione vedeva le statue dei Misteri portate in processione anche il Mercoledì Santo (tradizione che sopravvive nella vicina Oria con il nome di processione "Scenni Cristu") dalla Chiesa di San Demetrio alla Chiesa Madre, dove compivano anche un giro all'interno della stessa, attraverso via Greco, Principalli e Maddalena.
Le statue hanno subito nel corso degli anni interventi incerti che hanno comportato la perdita dei colori originali;(si è perso del sangue sicuramente!); sarebbe necessario pertanto un restauro per ripristinarli più vicini all'origine.
Nei pannelli successivi affianco alle foto Spalluti, rintracciate in un CD edito dall'Amministrazione Comunale nel 1998, presenteremo una descrizione analitica delle singole statue, per una fruizione più minuziosa delle stesse.
Processione dei Misteri 2018

Processione dei Misteri 1992
La statua di Cristo all’Orto del Getsèmani, è una statua in cartapesta attribuita al leccese Pietro Surgente (1742-1827), più recente rispetto a quelle in legno; sembra infatti che due delle statue della teoria lignea dei Misteri siano andate distrutte in un incendio nel 1791. [I Riti della Settimana Santa a Ceglie Messapica - M. Ciracì / I giorni del Perdono e dell’espiazione MISERERE NOSTRI, DOMINE MISERERE NOSTRI - G. Scatigna Minghetti].
Il simulacro vuole rappresentare la scena di “Cristo nell’orto mentre l’Angelo gli porge il calice”. [Rivista delle tradizioni popolari italiane, anno 1894] Il Cristo appare in posizione inginocchiata su un terreno verde, vestito con una tunica rossa dalla quale fuoriescono solo le mani giunte e i piedi. Alla cintola è presente una corda bianca con i tre nodi francescani. Lo sguardo è fisso in avanti, sul volto trasuda il “sudore di sangue” (Lc 22,44) che da dietro le orecchie scende fin sul collo. Come in tutte le statue, tranne la Caduta e il Crocifisso, sul capo è posta una semplice aureola metallica.
Come in tutte le statue Gesù ha capelli che arrivano dietro fin sulla spalla, e barba lunga a due punte arrotolate, che si presenta molto simile in tutte le statue. Dalla spalla destra parte un “braccio” metallico a mo’ di nuvoletta avvolto in un tessuto giallo di cartapesta che sostiene un angioletto, con volto ancora non lacrimante. L’angioletto reca nelle mani il calice e la croce con la scala e la canna simboli della Passione. Nella statua quindi non è presente alcun apparato scenico che ricordi l’Orto.
Don Domenico Carenza (parroco della Collegiata) ha deciso nel 2018 di aggiungere dietro alla statua una grande fronda di olivo per richiamare un giardino terreno dell’orazione; a lui va anche il merito di aver rivisto l’illuminazione processionale delle statue.

Processione dei Misteri 1992
La statua di Cristo alla Colonna, è una statua lignea. Il corpo di Cristo è seminudo, solo sotto la vita è presente un panno di colore bianco che avvolge il corpo. Gesù con le mani legate dietro le spalle è trattenuto a una colonna dipinta con decorazione marmorea
Il simulacro che ritrae Gesù dopo la flagellazione è solcato da numerose ferite, che apparivano ancor più accentuate prima dell’intervento di restauro incerto avvenuto a inizi anni ‘90. Le ferite sono particolarmente estese sulla spalla mentre sul torace e sulle gambe sono più lineari e sottili. L’intervento suddetto ha ridotto visibilmente anche le tracce di sangue presenti sulle spalle, sulle braccia e sulle gambe e modificato anche il colore della pelle. Il corpo in generale è piegato verso avanti, cosa che si accentua ancor di più con il capo.
Il volto appare sofferente, anche se non in maniera eccessiva, gli occhi sono socchiusi e leggermente arrossati, la bocca è leggermente socchiusa. Attorno al volto oltre alla barba scendono due lunghe ciocche di capelli.
La colonna è l’unico elemento aggiunto, essa richiama la colonna della flagellazione, elemento non presente nei Vangeli; la si ricostruisce sicuramente pensando alle modalità di fustigazione del tempo. Ma, la colonna potrebbe anche essere un segno metonimico per alludere al Tempio di Gerusalemme; in esso famose erano le colonne del porticato di Salomone. La colonna in questione potrebbe simboleggiare il potere sacerdotale ebraico che avrebbe voluto la morte di Cristo. Ricordiamo che uno dei capi d'accusa dei falsi testimoni contro Gesù era che egli, da “esaltato” avrebbe detto di esser in grado di disfare il Tempio e ricostruirlo in tre giorni (Mc 15,58 Mt 26,61).

Processione dei Misteri 1992
La statua di Cristo alla Loggia, è una statua lignea. Il Cristo è collocato immediatamente dietro a una staccionata, la cosiddetta Loggia, che oggi diremmo “palco” o “tribuna”; all'epoca una costruzione sopraelevata, più vicina ai governanti, anche perché vi si conducevano pure dei detenuti, usata per l’abituale “referendum” pasquale.
Il simulacro vuole rappresentare la scena dell’Ecce Homo a cui si fa riferimento nei Vangeli di Marco: "E gli percuotevano la testa con una canna e gli sputavano addosso e piegando i ginocchi gli rendevano omaggio” (Mc 15,19); e sempre i soldati: "Poi lo rivestirono di porpora e gli misero, dopo averla intrecciata una corona di spine" (Mc 15,17). I soldati decretano così per Cristo una regalità derisoria rappresentata dal mantello di porpora, tipico dei re, che ritroviamo sulla statua come unico elemento in tessuto presente nella teoria dei Misteri cegliesi (cambiato col passare tempo), poi la canna con cui lo avevano percosso sulla testa, posta nelle mani come scettro derisorio. Così si completa un quadro di regalità dissennato compiuto per Cristo dalla soldataglia, ma, più ampiamente, morale con cui la cattiveria umana ha “onorato” il Figlio di Dio nella sua trascendenza.
Il corpo di Gesù appare più scheletrico rispetto alle altre statue viste finora; su di esso, oltre alle ferite già pregresse e quelle sui polsi si vedono le prime piaghe, che poi verranno replicate nelle statue successive. Le troviamo sul petto, sulle spalle, sul costato e sulle ginocchia. Il volto anche in questo caso è leggermente piegato verso destra, il viso è ricoperto dal sangue che gronda dalla ferita sulla fronte, creata dalla corona di spine che sovrasta il capo e dai colpi in testa. Questa è l’unica statua dove sono presenti ambedue gli elementi posti sul capo nelle varie statue di Cristo: la corona di spine, appunto, e l’aureola.

Processione dei Misteri 1992
La statua di Cristo sotto la Croce, o altrove detta la Cascata, è un simulacro in cartapesta attribuita allo stesso autore della statua di Cristo all’Orto, Pietro Surgente; quindi con analoghe vicissitudini.
Il Cristo appare in una posizione quasi inginocchiata, la gamba destra è arretrata rispetto al corpo mentre la sinistra è posta avanti. Cristo sostiene la croce massiccia con la spalla sinistra, e il braccio avvolge la croce quasi ad assicurarla al corpo. La mano destra è tesa verso un masso di colore verde, unico elemento scenografico presente nel quadro non strettamente tematico. Il corpo di Cristo è ricoperto, come nella statua di Cristo all'Orto, da una tunica rossa stretta alla vita da una corda con 3 nodi che rinviano ai 3 voti francescani. Dalla tunica fuoriescono solo le mani, ferite ai polsi, e i piedi scalzi.
Il capo è leggermente inclinato a destra ed è sovrastato dalla corona di spine. Dalla fronte ferita gronda il sangue che raggiunge gli occhi, la bocca e il collo passando dietro le orecchie. Lo sguardo è proteso verso terra. Il volto è racchiuso dalla barba e dai lunghi capelli che a destra, lato su cui è inclinato il volto, raggiungono quasi il petto, mentre per il resto arrivano a coprire la spalla. Il viso è di una non eccessiva, nobile sofferenza.
La roccia, come detto, è l’unico elemento scenografico aggiunto alla scena; essa nelle intenzioni dello scultore vuole essere il segno del Golgota nel preannunciare ed indicare la roccia, la collina del Calvario, verso cui Gesù è diretto per la propria crocifissione. Le cadute non sono affermate nei Vangeli, ma appartengono alla pietà popolare, che le ha condensate nelle canoniche tre cadute di Cristo sotto il peso della croce nelle stazioni della Via Crucis.

Processione dei Misteri 1992
La statua del Crocifisso che fa parte della teoria dei Misteri cegliesi è una statua lignea ad uso processionale, utilizzata in occasione della processione del Venerdì Santo e per la processione della festività del Crocifisso del 3 maggio. Esistono fotografie che documentano il suo utilizzo anche in altre occasioni religiose avvenute per particolari solennità o a scopo penitenziale.
Il corpo del Crocifisso appare scheletrico ed emaciato. Sono ben visibili le costole, e le ossa delle articolazioni delle braccia. Il capo è inclinato a destra, sovrastato dalla corona di spine e ricoperto da lunghi capelli che cadono sulla spalla e ai lati in due lunghe ciocche che arrivano a toccare il torace. Il volto ieratico, di aspetto orientale, contornato dalla barba, è coperto da gocce di sangue e solcato da una grande ferita sulla fronte, gli occhi e la bocca sono socchiusi. La fascia che copre l’inguine è annodata a destra.
I colori attuali appaiono differenti dallo stato documentato nella foto accanto, dal colore della pelle sino a quello delle ferite e delle piaghe (le stesse presenti nei simulacri della Loggia e di Cristo Morto); le ferite, ad esempio, appaiono rimpicciolite dagli interventi. La croce è sovrastata dalla scritta INRI. E nessun orpello distrae dal “Tutto è compiuto”.
Il Crocifisso della Chiesa Madre
Parlando della figura del Crocifisso ci pare importante ricordare anche il simulacro ligneo del XVI secolo, considerato miracoloso, conservato nell'omonima cappella della Collegiata e restaurato nel 2015. Il corpo di tale statua, come già accennato ha le braccia snodabili e sicuramente veniva utilizzato nella doppia veste di Crocifisso e Cristo Morto ,oltre al rito della “deposizione”, prima che venissero introdotte le attuali statue.

Processione dei Misteri 1992
La statua di Cristo Morto, è una statua in legno. In tempi recenti alla scultura originale è stato aggiunto un catafalco, che nel corso del tempo è stato modificato, la foto accanto ne mostra infatti uno diverso rispetto a quello usato a partire dal 1994. (data in epigrafe) 
La parte originale del simulacro era composta dalla statua lignea del Cristo Morto, da un letto ligneo con quattro piedi intagliati a forma di pigna su cui erano applicati il lenzuolo e cuscino in cartapesta e  quattro nuvole che sorreggevano altrettanti angeli. Nel corso del tempo la parte lignea del letto è stata modificata e implementata con l'aggiunta di catafalchi, della struttura lignea originale restano i quattro piedi. Il Cristo ligneo è posato sul lenzuolo, che copre anche il cuscino su cui poggia il capo. Il volto della statua è un po’ inclinato verso destra, la bocca è socchiusa e si intravedono i denti. Il corpo presenta le stesse piaghe e ferite già delle statue di Cristo alla Loggia e del Crocifisso. Le mani poste accanto al corpo hanno i palmi trafitti dai chiodi, contratti e rivolti verso l’esterno, ispirando una serena accettazione del destino. Nitide appaiono le costole sotto pelle. La fascia posta sotto la vita appare in questo caso aperta e legata da una corda. Sul capo, anche nel giaciglio mortale c’è l’aureola della divinità che non è mai venuta meno. Attorno al corpo di Cristo, ai vertici del sacello rettangolare decorato con foglie dorate, sono poste ancora le quattro nuvolette, dai colori che dal grigio virano all'azzurro, su cui sono posati altrettanti angioletti. I puttini dal volto lacrimante trattengono nelle mani i simboli della passione. A cominciare da quello posto nell'angolo in alto a destra (in senso orario) troviamo nelle mani degli angioletti: la croce che apre la processione dei Misteri, seguita dalla colonna, il calice, la frusta, il martello, la pinza, i chiodi e la corona di spine posta in corrispondenza del capo del Cristo Morto.
Il catafalco introdotto per primo era un semplice telaio lineare, sovrastato dalla croce, che sosteneva dei veli ricamati. Quello usato oggi, su cui non si applicano veli, è in legno con una struttura a baldacchino più complessa; è decorato con fregi, foglie e figure dorate e presenta anche quattro puttini stilizzati, il tutto sormontato da un angioletto. Questo catafalco originariamente di colore avorio nel 2019 è stato restaurato e dipinto di colore rosso. 

Processione dei Misteri 2018
Il simulacro dell’Addolorata della Chiesa di San Demetrio, è quello tradizionalmente utilizzato nella processione dei Misteri, in passato era preceduto dai membri della confraternita. L’abito nero della statua appare ricoperto di decorazioni floreali ed arricchito da gemme. Il manto, ricamato, è ricco di stelle a sei punte. Le mani sono giunte e trattengono un fazzoletto ricamato. Al centro del corpetto spicca un cuore sporgente in tessuto ricamato d'oro, trafitto da destra a sinistra da uno spadino d'argento. Tale cuore è impreziosito da 3 gemme di colore verde, bianco e rosso ed è ornato da motivi floreali. Il colletto è bianco. Il volto è leggermente inclinato a destra e da sotto al velo spuntano lunghi capelli bruni (dipinti in legno) che arrivano sul corpetto.




La Croce dei Misteri è la croce in legno che tradizionalmente apre la processione dei Misteri e, fino a quando esisteva la confraternita dell’Immacolata fra lei e le statue si frapponeva lo stendardo della confraternita. Oggi è portata da ministranti delle varie parrocchie.
Su di essa sono applicati vari simboli dell’arma Christi, troviamo: i flagelli, il calice, la corona, le canne di cui una con la spugna che fu imbevuta d’aceto, la mano dello “schiaffo”, la pinza, la lanterna, i dadi, la sacra tunica rossa, il martello, il gallo sulla colonna, la scala della deposizione, la lancia e i chiodi. Sul braccio verticale è posta la scritta INRI, mentre leggermente al di sotto dell’incrocio dei bracci troviamo il velo della Veronica (il sudario con il volto di Gesù).

La mostra
La mostra allestita nella Chiesa di San Demetrio


Video intervista del blog "Ahi Ceglie"


domenica 7 aprile 2019

Mostra sui riti della Settimana Santa 2019, locandina

Cristo salva, la Madonna suggella: le statue
dei Misteri nel Venerdì Santo a Ceglie Messapica

L'Archeoclub di Ceglie Messapica organizza durante la Settimana Santa, nella Chiesa di San Demetrio, una mostra sulle statue dei Misteri e la processione del Venerdì Santo. 


Sempre in occasione del tempo pasquale, l'Archeoclub di Ceglie Messapica, quest'anno propone una mostra fotografica, con l’apposizione di didascalie vicino ad ognuna delle statue dei Misteri, per una fruizione delle stesse, nella loro “casa” in San Demetrio, a bocce ferme, ovvero oltre il giro dei “Sepolcri” del Giovedì Santo e la processione dei Misteri della sera del Venerdì Santo. Le statue e la processione, che le vede sfilare per le vie cittadine, sono l’elemento culminante della Settimana Santa cegliese per partecipazione popolare e per tradizione di pietà popolare plurisecolare.
Negli anni scorsi si sono trattate le tradizioni del Giovedì Santo, quella delle Madonne Addolorate che si esibivano in ben 6 processioni, di chiesa in chiesa, con tanti fedeli al seguito, andata persa, e quella del pellegrinaggio e della “visita” agli Altari della Reposizione (Sepolcri) adeguatamente addobbati nelle chiese cittadine per l'adorazione eucaristica, secondo tempi ed itinerari individuali.

venerdì 5 aprile 2019

Gli Altari della Reposizione del Giovedì Santo, con uno sguardo alla tradizione di Ceglie Messapica

Gli Altari della Reposizione ('Sepolcri') nel culto eucaristicodel Giovedì Santo, con uno sguardo alla tradizione Cegliese

di Francesco Moro, Oronzo Suma e Giuseppe Lodedo


L'Archeoclub di Ceglie Messapica anche quest'anno si occupa di una tradizione e una ritualità liturgica e popolare legata a Ceglie e non solo, nel periodo della Settimana Santa: gli Altari Eucaristici della Reposizione, comunemente chiamati 'Sepolcri' e l'usanza ad essi connessa del pellegrinaggio nelle varie chiese cittadine per vederli. Lo scorso anno si trattò sempre di una tradizione del Giovedì Santo, quella delle Madonne Addolorate che si esibivano in ben 6 processioni, di chiesa in chiesa, con tanti fedeli al seguito. Oggigiorno, il popolo, non essendoci più tali processioni, e non avendo perciò uno schema fisso da seguire, però, ha conservato con convinzione l’usanza del 'girovagare' per le chiese a visitare gli Altari della Reposizione adeguatamente addobbati per l'adorazione eucaristica, secondo i propri tempi, itinerari e compagnie, tra il Giovedì e la mattina del Venerdì Santo.

Gli Altari della Reposizione: ragguagli storico-culturali

Cappella Ultima Cena Carella Ceglie Messapica
Gli Altari Eucaristici della Reposizione presentano una connotazione liturgica, perciò si allestiscono ovunque nelle chiese cattoliche parrocchiali od officiate. Il loro insediamento cerimoniale avviene quale atto terminale della messa serale 'in Coena Domini', che dà il via al Triduo pasquale. E' la messa del rito semi-liturgico della 'lavanda dei piedi' e, soprattutto, quella che rievoca l'istituzione dell'eucaristia da parte di Gesù Cristo. Il sacerdote a fine messa, inginocchiato, incensa la pisside con le ostie consacrate sull'altare maggiore; poi, con una breve processione in chiesa si reca con la pisside all'altare della Reposizione, e qui, di nuovo, si inginocchia e la incensa; infine, la depone nel tabernacolo. Da questo momento inizia una normale adorazione eucaristica, dei sacerdoti e diaconi prima, per per estendersi ai fedeli poi, nel corso della serata intera e del mattino successivo. La 'stranezza' è che si tratta di un’adorazione eucaristica all'interno della messa, ma che si prolunga ben oltre; con protagonisti i fedeli. L'altro fatto insolito da rilevare è che, in questo tipo di culto eucaristico si adorano le specie 'preconsacrate' e, non la classica ostia intera, 'esposta' al centro dell'osservazione sacra.
In origine il rito nacque dalla necessità pratica di conservare le specie consacrate, spesso in sacrestia , in previsione della comunione del giorno successivo, il Venerdì Santo, giorno aliturgico per eccellenza e quindi senza consacrazione.
Ma, a differenza dell'ortodossia bizantina che onora i 'presantificati' con delle messe, in Quaresima, nel cattolicesimo non c'è un culto dei 'presantificati' in quanto tali; ci pare corretto dire che essi siano nel Giovedì Santo l’'occasione' propizia, nata in sordina e fortuitamente, per un culto eucaristico speciale nel periodo più importante dell'anno cristiano. L'origine essendo pratica (nei primi tempi si conservava anche il vino consacrato), in teoria non poteva dare adito a grandi simbologie. Il passare dei secoli, invece, (chi inizialmente poteva pensare a un tale evoluzione?) ha dato a quel rito questo stupendo esito. Questa è un’ulteriore conferma del fatto che, di un rito all'interno della chiesa non si può prevedere, fin principio, di quali significati esso forse potrà caricarsi, specie con il l’intervento sostenuto della 'pietà popolare'. In questo caso per l’Altare della Reposizione, si sono sviluppate, semplificando, due afferenze simboliche: una più controversa, ma storicamente, per noi comprensibile dovuta al retaggio spirituale bizantino: il senso del 'sepolcro' di Cristo nelle sue Quarantore di 'morte'; l'altra liturgicamente più corretta, ribadita spesso negli interventi dottrinali della Chiesa cattoloica post-conciliare: il senso dell’'eucaristia', dono di Cristo all'umanità.
I tabernacoli eucaristici e il rito delle Quarantore hanno generazione comune, almeno concettualmente, ma con rispondenze storiche non sempre chiari; nel tempo si è approdati a due riti diversi, e il rito 'repositorio' può darsi, ha acquisito più rilievo nella ritualià, dopo che l'adorazione delle Quarantore fu utilizzata anche fuori del Triduo sacro, nella prima metà del ‘500 a Milano, specie nei giorni pre-quaresimali.
Nel IV secolo a Gerusalemme nei giorni precedenti la Pasqua si compiva una veglia penitenziale con l’adorazione della croce, che, a fine cerimonia, veniva riposta in un luogo che assunse le fattezze di un sepolcro e così, si fece abitualmente per diversi secoli. Attestazioni del rito 'repositorio' delle specie consacrate, riguardo all’Occidente, sono riscontrate già nel Sacramentario Gelasiano (750 ca.).
Dalla semplice traslazione, si passò, ampliandosi la solennità del rito, ad una processione, a cui fu inevitabile dare un’interpretazione simbolica: non si sa a chi attribuire tali innovazioni liturgiche (forse Amalario sec.IX?), ma, è plausibile come afferma il liturgista Felini che “i fedeli ormai esclusi dalla comunione eucaristica, fecero propria la suggestione che quel tabernacolo provvisorio potesse essere concepito come immagine del sepolcro di Cristo”. Fu nel XII secolo che per il liturgista Barba “si consolidò l’uso di deporre il Crocifisso; più avanti nei secoli entrò l’uso di porre l’Eucaristia, racchiusa in una teca, sul costato del Crocifisso, fino a quando poi, nel XV sec. rimase l’uso di mettere solo l’Eucaristia”. Passaggi interessanti; però ci pare 'misterioso' l’accostamento del costato di Cristo con l’eucaristia. Non c’è un appiglio teologico nei Vangeli, ci pare, dove soltanto si afferma che dal costato di Cristo, colpito da lancia, vi sgorgano sangue ed acqua, per alcuni la generazione della Chiesa(battezza nell'acqua e offre il ‘sacrificio’ di Cristo.).
Intorno al primo secolo dopo il Mille ed almeno per un altro secolo e più, con i pellegrinaggi in Terra Santa, le crociate, la costituzione di ordini cavallereschi si diffuse in Occidente la spiritualità del Santo Sepolcro. Così l’Europa e l’area mediterranea, afferma la Salvarani furono “disseminati di sacelli, edicole, rotonde, cenotafi, chiese dedicate al Santo Sepolcro, al Golgota”, imitazioni architettoniche dei luoghi sacri per rievocare in luogo appropriato i 'misteri' cristiani. Nella vicina Brindisi, porto d’imbarco per l’Oriente, ci resta, dell’epoca, il tempio di San Giovanni al Sepolcro (XI sec.) , 'rotonda' ad imitazione dell’Anastasis del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Altre architetture attinenti a tale immaginario si diffusero in Europa: tombe, 'sepolcri' di Cristo furono anche allestiti all'interno delle chiese. Ad Aquileia, nella basilica patriarcale si svolgeva un rito nella Settimana Santa in cui le ostie consacrate si riponevano per la comunione del giorno successivo nel cosiddetto 'Santo Sepolcro', una costruzione circolare in marmo( XI sec.) con copertura conica, altra imitazione dell’Anastasis di Gerusalemme, con all'interno la 'tomba' di Cristo ed un altare. Altra conferma ritualistica dell’associazione repositorium-sepolcro di Cristo: una convinzione abbastanza diffusa.
Per i nostri territori meridionali l’impronta di questi riti è sicuramente bizantina, e riemerge sottotraccia in alcune particolarità rituali. Nella liturgia bizantina già il fatto che l’altare simboleggia il corpo di Cristo comporta conseguenze in tutta l’azione liturgica. Nel Grande Ingresso, nella Protesis (preparazione dei doni, fatta nella segretezza, forse ad imitazione dei preparativi frettolosi per il funerale di Cristo in Parasceve),e nei Presantificati che, nella loro liturgia vespertina evidenziano esplicitamente la suggestione del 'sepolcro'. Per ultimi gli stessi arredi liturgici ricordano figurativamente la sepoltura e morte di Cristo: da menzionare l'anteminsion e epitaffio sugli altari - epitaffio recato anche in processione. L'antiminsion è un piccolo rettangolo di lino o seta, posto sull'altare; è consacrato, personale e obbligatorio per dar validità alla messa: sopra vi è raffigurata la deposizione di Cristo morto, ai lati i quattro evangelisti e, cucita una reliquia di un martire. Dell'epitaffio invece, si fa un uso più circostanziato dai riti del Venerdì Santo fino alla vigilia dell’Ascensione; esso è un velo di stoffa preziosa che copre l’altare con la raffigurazione più solita della deposizione di Cristo morto. Prima della posa sull'altare esso, posto in un’arca, ornato di fiori, è oggetto di culto, infatti, al suo cospetto vi si cantano gli 'encomia' (elogi funebri) ed è anche portato in processione. Forse, anche da questa cura sacrale per l’altare e per l’arca dell'epitaffio, addobbato con fiori, profumi, luminarie ci deriva la non sciatta dedizione che si pone nella scenografia dei nostri repositori, l’attenzione puntuale per gli elementi floreali e luminosi, talora addirittura per i profumi sprigionati in loco da essenze, per creare un’armonia multisensoriale.
Riprova dell’equiparazione del repositorium eucaristico al 'sepolcro' nel linguaggio lo rinveniamo nelle enclave cattoliche albanesi di rito greco-bizantino del Sud Italia, con usanze liturgiche a sè. Ci riferiamo all’Eparchia di Lungro (in Calabria), alla diocesi di Piana degli Albanesi che comprende vari comuni in Sicilia, a paesi come San Costantino Albanese (in Basilicata) nei quali per il rito della reposizione del Giovedì Santo si parla precisamente di 'sepolcro' (sumbullkun), dalla pronuncia simile alle nostre dialettali pugliesi, senza preoccupazioni nel loro caso, parrebbe, di incongruenze dottrinali, che invece da tempo sono fatti rimarcare dalle autorità religiose per il rito meridionale.

Per la sfera ‘mistica’ (per qualcuno), la poesia immateriale dei tabernacoli della Reposizione del Giovedì Santo, nell'incanto che essi ci comunicano ci fa pensare ad una forma riuscita di intesa umano-divina; umana nella pochezza di materiali e intenti; divina nel risultato di senso e nella bellezza, che ci sfugge nel dirla, ma che percepiamo superiore.

La 'Visitatio' ai 'Sepolcri'.

Chi partecipa alla 'visitatio' può anche poco curarsi dell'esposizione  eucaristica in atto ed essere attratto semplicemente dalla bellezza estetica degli allestimenti. All'osservatore non viene chiesto di aderire a strette verità di fede, ma soltanto di porsi in atteggiamento rispettoso del luogo e del rito in atto. La sacralità del momento è generalmente percepita e rispettata, pure a fronte del 'via vai', alla fila davanti all'eucaristia, che, a rigore, non sono propri, della concentrazione o meditazione di un’adorazione eucaristica. Ma il fatto è inevitabile quando converge nella singola 'stazione' una folla di persone che principalmente vuol vedere l'allestimento e, poi sviare oltre per il giro previsto di chiese. Il via vai è il prolungamento in chiesa dell'itineranza collettiva che caratterizza questa usanza.
Per i fedeli il pellegrinaggio è anche un modo per godersi la città, le chiese o i monumenti artistici oltre che per socializzare; è anche un modo di spezzettare l’eventuale adorazione eucaristica rendendola da statica (in un solo posto e prolungata) a dinamica (più soste e più brevi). Il fedele si potrebbe appagare del solo esserci stati e del piacere estetico di aver visto gli allestimenti (e averli confrontati). Il ‘giro’ o ‘firriu’ in siciliano, ‘l’andare per sepolcri’ è un rito collettivo di itineranza religiosa con risvolti sociali e compiendolo si attua la prima tappa fissa di chi vuol vivere appieno i giorni del Triduo sacro.
L’handicap abituale dell’adorazione eucaristica è spesso l’incapacità, la scarsa pazienza nel concentrarsi in preghiera al cospetto del sacro, mentre nel rito della 'visitatio sepulchri', si ha la sensazione, sembra, di articolare più liberamente il proprio tempo e la propria fruizione della dimensione religiosa. 
Ma il pellegrinaggio stesso del Giovedì Santo, da una chiesa all'altra, può trovare oltre al culto eucaristico, significati e simbolismi in sé, nel retaggio di una tradizione proveniente dal passato. Ci ha incuriosito in proposito, ad esempio, una valutazione del pellegrinaggio dei 'sepolcri' contenuta nel libro 'Compendio della Dottrina Cristiana' (1818) del venerabile mons. Vincenzo Maria Morelli (1741-1812), arcivescovo di Otranto, di cui riportiamo un passaggio catechistico, con domanda e risposta: “D. Perché nel medesimo giorno (Giovedì Santo) si portano alla visita di più Chiese, o pubblicamente nelle processioni, o privatamente?” - “R. Ciò si fa in memoria de’ i dolori sofferti da Gesù in più luoghi, come nell’orto, nelle case di Caifasso, di Erode, e sul Calvario.” spiegando anche lo 'spirito' con il quale i fedeli lo devono compiere: “... non per curiosità, nè per ispasso, o per costume, ma con sincera contrizione…”.
Non sappiamo fino a che punto questo sia un significato a posteriori del rito in questione, ci è sembrato interessante ripresentare un significato ulteriore della visitatio, nel voler ripercorrere passo per passo, recandosi in ogni ‘stanza’ della Via Crucis di Gesù Cristo, cosa cui oggigiorno non avremmo pensato. I riferimenti alla Terra Santa, come un luogo importante per la cristianità; la cui geografia sacra può far suscitare voglia di andarci, ci inducono a pensare al rito della visita degli altari come ad un ‘surrogato’ del ‘passaggio’ in Terra Santa, differito.
Per quanto attiene ai significati aggiuntivi che ognuno potrebbe dare al rito dei tabernacoli della reposizione, ha una suo acume l'idea di Papa Benedetto XVI di soffermarsi, all'inizio del cammino pasquale, sulla solitudine di Gesù nel Getsemani. Compito dei fedeli sarebbe quello di immedesimarsi nella sua solitudine e, come afferma il papa emerito, “di cercare sempre lui, il dimenticato, il deriso, là dove egli è solo, dove gli uomini non vogliono riconoscerlo e di stare sempre con lui. Questo cammino liturgico è per noi esortazione a cercare la solitudine della preghiera”. Indicazioni importanti per la preghiera, essa non può che essere costitutiva di ogni adorazione eucaristica. C’è, forse, un altro significato, più azzardato, di genere simbolico-biblico, riferito alle specie eucaristiche 'a parte', nella riservatezza che può far pensare al 'rimanente' d'Israele, la cui importanza per la salvezza dell'intero popolo ebraico fu ribadita a profusione dai profeti. Il parallelismo cristiano è, appunto con l'eucaristia, piccola frazione di pane, dono di Cristo, 'riserva' preziosa che può far lievitare la massa, cioè condurre a salvezza chi se ne nutre.

L’allestimento scenico dei 'Sepolcri'

I Repositori. L’urna, custodia del Giovedì Santo ha una struttura classica trapezoidale che risultò vincente dopo concilio di Trento; materiali vari, legno dipinto, dorato, argento sbalzato. Per base ha lo zoccolo, su cui poggia la cornice con lo sportello , di lato il dorso e sopra il bordo, talora di altro materiale. La chiusura è data dal coperchio, di legno dipinto arricchito di intagli ornamentali (simboli eucaristici o strumenti della Passione), infine, in cima si può trovare un globo con crocetta (crucigero), simbolo della potestà di Cristo sul mondo. Altri addobbi vegetali caratteristici degli altari sono i vasi o piatti di grano (o altri cereali o legumi) dai colori pallidi dal bianco al verde stinto, poiché fatti germogliare al buio nel periodo di Quaresima: assumono nomi specifici nei vari luoghi, a Taranto erano i 'piatti del Paradiso', in Sicilia i 'lavureddi' o genericamente altrove il ‘grano’. Rappresentano, alla morte del seme da cui scaturisce il verde della vegetazione, Cristo che passa dalla morte alla Resurrezione; in base al riferimento evangelico appropriato in Giovanni 12, 23-24: “Se il chicco di grano, caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.
In questo caso il ‘grano’ germogliato è una chiara ‘prolessi’, anticipazione della Pasqua, perciò sebbene connesso con la ritualità funebre, guarda oltre, al futuro del ‘risveglio’ del mattino pasquale. Nei riti del triduo sacro tali anticipazioni, sovrapposizioni rituali e di significati sono molto frequenti, tanto, forse, da creare, dopo secoli anche nei protagonisti una mentalità ‘prolettica’, un misto di suggestioni non sempre chiari.

Colore associato all'eucaristia. Il colore associato all'eucaristia è il bianco dell'ostia, che richiama il bianco sacerdotale dei paramenti in uso nella Chiesa per le solennità liturgiche. Simbolo anche di purezza e festa. Essendo l'esposizione eucaristica una 'festa' (eucaristia dono di Cristo all'umanità), il bianco 'solenne' è preferibile quale colore principale dei fiori, dei drappi e delle scenografie in genere. Altro colore adatto, simbolo di divinità, è il color oro: bianco ed oro, variamente interconnessi (anche il rosso), nella tavolozza degli allestitori sono un riferimento quasi obbligato.

Le scritte. Importanti negli allestimenti anche le 'scritte', con il ricorrente trigramma eucaristico IHS, oppure versi sacri o altre parole per esprimere un particolare 'tema' dell'addobbo, ispirato dal Papa, come recentemente il tema 'Misericordia' nell'anno giubilare omonimo(2015-'16), o da altro: vi emerge allora l'attualità della vita cristiana. In alcuni casi le scritte possono anche essere proiettate, o in altri tipi di scenografie, non si nega, comunque, il ricorso alla tecnologia.

Addobbi degli altari. Gli addobbi degli altari eucaristici dovrebbero mantenere una linea di sobrietà e decoro, favorevole alla meditazione religiosa sul 'mistero' di Cristo-eucaristia. Perciò, anche in base ad indicazioni dei vescovi, non porre troppi fiori e vegetali, che non stanno lì per bearsi della loro bellezza, ma per indicare altra 'bellezza', altra spiritualità: quella, in questo caso ‘eucaristica’, che va dal sensibile al sovrasensibile altissimo. L'eccesso di fiori può far pensare all'Altare della Reposizione - di nuovo fuorviando l'osservatore - come un sacello, parificato ad una 'tomba' all'interno di un giardino. Altra accortezza basilare: gli addobbi (fiori, luminarie, drappi e altra scenografia) non dovrebbero coprire la teca eucaristica; essa dovrebbe svettare sempre al centro dell'osservazione tra proscenio e sfondo.

Adorazione dei tabernacoli. Rispetto all'adorazione eucaristica tipica, come nelle Quarantore, nell'adorazione dei 'tabernacoli' del Giovedì Santo, vi emergono più elementi compositivi, più libertà di 'temi' negli allestimenti e, conseguentemente, più significati aggiuntivi. La loro bellezza estetica vien fuori quasi inspiegabile, ma, forse, ha una radice nel maggior numero di elementi assemblati; abbinata alla regola estetica della sobrietà. Indubbia la bravura degli allestitori nel trovare l'equilibrio fra i vari elementi da congiungere (fiori, vegetali, luci, drappeggi, scenografie), sia perché ci vuole fantasia nel reperire eventuali 'temi' nuovi. Il risultato, quasi sempre presenta la 'naturalezza' e la sacralità di un'opera collettiva.

Guardie o Angeli? Sotto quale voce dovrebbero essere rubricati i ragazzi o bambini, in genere
appartenenti ad associazioni parrocchiali che vi sarà capitato di vedere (oggigiorno più di rado) ai lati degli altari della reposizione in vesti candide ed atteggiamento di compunta vigilanza? Sono essi bambini-angeli, bambini-guardie o un misto dell’uno e dell’altro, angeli-guardie o genericamente un simbolo di innocenza? E’ plausibile che'' in una figurazione si accorpi anche la scena pasquale degli ‘angeli della Resurrezione; angeli che spesso negli altari repositori si trovano come elementi artistici (scultorei). Nel nucleo figurativo della 'Visitatio sepulchri' l’angelo (o angeli) sono presenza fissa. Essendo angeli ‘indicatori’ dovrebbero, appunto, indicare la 'tomba' vuota del 'non è qui’; in contrasto, perciò, sia con la ‘presenza’ eucaristica, sia con il repositorium - tomba. In ogni caso non indicano il vuoto. Non è peregrino, sostenere che possano essere considerati 'guardie del sepolcro’, data la loro vicinanza all'altare, la postura verso il pubblico, l’atteggiamento di ieratica vigilanza, ma ovviamente considerandoli tali si rientrerebbe parimenti nell'ipotesi sepolcro (non ammissibile).
In alcuni riti del passato si riscontra la presenza simbolica delle 'guardie' sull'altare; ad esempio, al Giovedì Santo al momento dello ‘spogliamento’ dell’altare esisteva in Gallia un rito in cui due diaconi ai lati dell’altare tiravano furiosamente la tovaglia, a ricordare la spartizione tra i soldati della veste di Cristo. Il ruolo dei ragazzi-angeli diventa più giustificato se si ammette una ‘prolessi’ concettuale, ossia riferendosi al Triduo: il richiamo nel Giovedì Santo (dell’eucaristia) del mattino pasquale nell'annuncio ‘angelico’ ; ecco allora che i ragazzi ai lati dei repositori, nel simboleggiare gli angeli dell’annuncio sono un richiamo al significato di ‘salvezza’ dell'eucaristia. Però temiamo per la sopravvivenza di questa bella tradizione, sì vacillante dottrinalmente almeno intesa in riferimento alla figurazione urna-sepolcro, ma che, già abbiamo accennato, potrebbe assumere significati nuovi, come proiezione dal ‘biancore’ dell’eucaristia del Giovedì Santo al ‘biancore’ dell’angelo annunciante la Pasqua : Cristo ‘Non è qui. E’ risorto’. L’ intero Triduo sacro non è proteso a ciò?

Ceglie: Altari Eucaristici ed altre mete del Giovedì Santo


Gli Altari della Reposizione (‘Sepolcri’) a Ceglie venivano tradizionalmente allestiti nelle chiese dove si sarebbero recate in processione le Addolorate del Giovedì Santo quindi: nella Collegiata Santa Maria Assunta, nella chiesa di San Domenico, nella chiesa di San Gioacchino, nella chiesa di Santa Maria degli Angioli (Convento dei Cappuccini) e nella chiesa di San Rocco.

Attualmente la tradizione di preparare gli Altari della Reposizione permane presso le chiese che sono sede parrocchiali perciò: presso la Collegiata (sede della parrocchia Santa Maria Assunta), presso la chiesa di San Rocco, presso la chiesa di San Lorenzo da Brindisi e la parrocchia Maria Immacolata Madre della Divina Provvidenza, che per anni ha avuto sede presso la cappella attigua al complesso dell’Opera Don Guanella, e che negli ultimi anni è momentaneamente ospitata presso la chiesa di San Gioacchino, in attesa imminente della nuova chiesa. Questa situazione di interregno tra l’abbandono della vecchia sede e l’insediamento nella nuova chiesa ha comportato, conseguentemente, la ripresa dell’allestimento in loco del ‘sepolcro’, dove da anni non veniva più fatto, anche se rimaneva la tradizione dell’apertura della chiesa e del pellegrinaggio in essa (si suppone, soprattutto per vedere l’Addolorata). Oltre alle sedi parrocchiali l’Altare della Reposizione viene allestito abitualmente anche nella chiesa di San Paolo della Croce presso il convento dei Padri Passionisti.



Come molte località soprattutto dell’Italia Meridionale, anche a Ceglie la sera del Giovedì Santo si assiste ovviamente al pellegrinaggio ai ‘Sepolcri’, ma per i cegliesi tradizionalmente ciò diviene anche occasione per visitare, oltre agli ‘altari’, almeno altre due mete estranee all'adorazione eucaristica che già anticipano nella suggestione del fedele ciò che avverrà al indomani, il Venerdì Santo.
La prima, sono le Statue dei Misteri, rientrate nel 2016 nella propria sede storica, la chiesa di San Demetrio, e conservate per alcuni decenni all'interno della chiesa di San Domenico, dove era possibile vedere un grande afflusso di gente. I fedeli sfilano pregando davanti alle statue, che saranno portate in processione il Venerdì Santo, omaggiandole anche con gesti di ossequio. In passato addirittura venivano allestiti dei veri e propri altarini. Altra tappa del girovagare è il Calvario ottocentesco, da poco restaurato, ubicato presso la villa comunale intitolata a Papa Giovanni Paolo II. Sulla 'collina' del Calvario, ci si ferma ad osservare con devozione la teca trasparente del Cristo morto e le pitture murali della Passione; è possibile spesso assistere anche al lancio di monetine oltre il cancello davanti alla tomba.
Chiesa di San Demetrio

Le immagini storiche dei 'Sepolcri'

centro documentazione Michele Ciracì
L’Archeoclub ha selezionato nell'occasione della mostra 6 immagini storiche di  'Sepolcri' allestiti in alcune chiese cittadine, conservate presso la fototeca 'Michele Ciracì', che le ha gentilmente messe a disposizione.
Le foto scattate dai fotografi Campanella, tra gli anni ‘10-’40, immortalano gli Altari Eucaristici allestiti nelle chiese di San Domenico, San Gioacchino e Santa Maria degli Angioli (Cappuccini). Dalle foto emerge sicuramente la magnificenza e la spettacolarità scenica degli altari addobbati. Nelle chiese venivano allestiti, infatti, veri e propri apparati scenici, frutto di settimane di pio lavoro ed impegno, con al centro l’ostia o la teca (repositorio) in cui essa veniva riposta; abbondano l’utilizzo di fiori (calle, fresie, ‘sansiferi’, tulipani e fiori comuni) e piante (piante esotiche, palme, felci, yucca; conifere, cipressi, aucarie ed etc.), ricchi tessuti di scena, a cui si aggiungono luminarie artistiche alimentate già elettricamente, corredate dall’utilizzo di numerosi candelabri e candele.
Alle foto storiche dei ‘Sepolcri’ si aggiunge, quella che forse è l’unica fotografia a ritrarre gli interni della chiesa di S. Demetrio, prima del crollo, e un’altra tradizione legata al Giovedì Santo andata persa, a cui accenneremo in seguito.

I Sepolcri della Chiesa di San Gioacchino. Ben tre sono le immagini selezionate, tra le varie conservate, che ritraggono gli altari allestiti nella chiesa di S. Gioacchino in un arco temporale che va dagli anni ‘20 agli anni ‘40 . Gli altari allestiti in questa chiesa erano tra i più scenografici tra quelli preparati a Ceglie. Realizzati per volere dei sacerdoti che, all'epoca, amministravano la chiesa: Don Paolo Lisi, Don Cosimo Mastro e Don Cosimo Spina; essi erano allestiti dall'Associazione Cattolica che aveva sede presso la chiesa.
Il sepolcro degli anni ‘20 è allestito presso l’altare maggiore della chiesa; ricorda dal punto di vista architettonico l’altare barocco del Bernini della Basilica di San Pietro di Roma. Il fondale è a vista,mentre il baldacchino completamente ricoperto di fiori è attorniato da vasi e piante; al di sotto, invece, tra i candelabri su un piedistallo decorato dalla scritta AMOR è alloggiata la tradizionale teca trapezoidale contenente le ostie.
centro documentazione Michele Ciracì

I sepolcri degli anni ‘40: Il primo presenta un imponente struttura che ricorda un tempietto del tipo tabernacolo eucaristico pre-tridentino, sormontato da una croce luminosa, ricoperto da fiori di vari colori artisticamente posizionati. Il fondale è a vista, eccetto nicchia ricoperta.Scarno l’addobbo dell’altare, la cura focalizzata sulla scenografia centrale. Alla base della stessa , ottenuti sempre grazie ai fiori, emergono un calice e un bicchiere,e vi trovano posto candelabri, vasi di piante e fanno la loro comparsa all'interno del ‘tempio’ i drappi e i tessuti di colore bianco che mettono in risalto la teca posta al centro sulla scritta PAX (chiaro richiamo all'anelito di porre fine alla tragica sciagura della seconda guerra mondiale in corso).
Il secondo è sicuramente uno tra i sepolcri più particolari di cui ci resta una memoria fotografica, la struttura principale, anch'essa completamente rivestita da fiori, attorniata dai soliti elementi, è infatti un grande cuore ardente, simbolo del generoso amore di Cristo che si offre come ‘nutrimento’ eucaristico per l’uomo (rimanda alla spiritualità del ‘cuore di Gesù’), sovrastato da una piccola croce.

centro documentazione Michele CiracìI Sepolcri della Chiesa di San Domenico. Le immagini selezionate ritraggono 2 Sepolcri allestiti a cavallo tra gli anni ‘10 e ‘20 del Novecento. L’Altare della Reposizione veniva allestito nella cappella centrale della navata destra, a cura, prima della Confraternita della Purificazione, che operava all'interno della chiesa, e poi, grazie all'impegno di alcune famiglie tra le quali sicuramente quella degli Esposito. L’usanza di allestire il 'Sepolcro' all'interno della chiesa, si è interrotta da alcuni decenni, dopo il crollo della chiesa di S. Demetrio avvenuto nel marzo 1969, e il consequenziale trasferimento all'interno della stessa delle Statue dei Misteri.
Il sepolcro degli anni ‘10 è allestito sia utilizzando fiori, piante e sia un gran numero di candelabri e candelieri che riempiono la cappella a tal punto da celare la parte architettonica della stessa. Al centro spicca il repositorio. Nella lunetta della cappella è collocato un telo bianco con al centro il trigramma PHJ (?). A lato della cappella è posta su un piedistallo la statua dell'Addolorata. Il sepolcro degli anni ‘20 ha un allestimento più complesso rispetto al precedente, infatti oltre all'utilizzo degli addobbi floreali e dei candelabri, posti su più livelli, è presente un grande proscenio, che ricorda la struttura architettonica di un tempio, nel timpano è presente, formato da lampadine, il trigramma JHS. Dietro al proscenio nella cappella riccamente addobbata di fiori trova posto la teca, mentre nella parte antistante sono individuabili: un inginocchiatoio, il pane e delle stoviglie.

centro documentazione Michele CiracìIl Sepolcro dei Cappuccini. Il sepolcro anni ‘30 è allestito sull'altare maggiore della abbattuta chiesa. Forse troppi elementi affastellati senza un’indicazione univoca, però con un esito estetico comunque valido. Sovrastrutture rigide, tendaggi e un’illuminazione artistica ornano l’altare. I candelabri, le piante e i fiori sono posti su più livelli. Al centro, sono visibili più elementi simbolici o liturgici, partendo dal basso troviamo: un ostensorio, una coppa fra due angeli, il tabernacolo a raggiera sovrastato da una croce, infine la sovrastruttura e il cuore sormontato da una croce, realizzato con una luminaria artistica. Nella foto sono visibili i 5 cerchi contenenti lo stemma dell’ordine dei Cappuccini che decoravano l’altare della Chiesa.


Il Calvario della Chiesa di San Demetrio.  La foto degli anni ‘30 ritrae l’abside della Chiesa di San Demetrio in cui per l’occasione del Giovedì Santo era stata allestita una composizione che ricorda il ‘Calvario’, infatti sono visibili tre croci, le due laterali più semplici (quelle dei ladroni color legno) e la  centrale più distinta (quella di Cristo di colore bianco). Le Croci spiccano su un ‘colle’ di candele e cerini che sprigionano un forte bagliore che si propaga nel resto della cappella che è al buio. Nella croce di Cristo al centro degli assi si intravede (nella foto rovinata) quella che potrebbe essere una teca (repositario?). Immediatamente a ridosso del‘calvario’ è collocata la statua dell’Addolorata ad esso rivolta, che probabilmente era lì solitamente per completare la scenografia.
centro documentazione Michele Ciracì